| |
L'intervista
a...
|
NUCCIO AMBROSINO |
San Felice
sul Panaro - Milano, 27/02/2005
La regia è l'anima di un film, di un
programma, di uno spettacolo teatrale o radiofonico che sia. Distingue ciò che
è bello da ciò che non lo è, enfatizza il bello e stabilisce il modo di
rappresentarlo al meglio. E' il caso di Nuccio Ambrosino, magistrale regista di
Giochi senza frontiere per ben sette edizioni; dal 1989 al 1991 e dal 1996 al
1999. Colonna portante del programma
insieme a tanti altri personaggi tra presentatori, autori e produttori, nessuno
meglio di lui può guidarci dietro le quinte del nostro beneamato programma in
un percorso ben definito: una prova, una puntata, un edizione, un programma...
unico. Ci fa partecipi di ciò che accade fuori onda e di come si crea una
trasmissione con tanto successo quale Giochi senza frontiere partendo da un
campo di gara ed una telecamera.
| A chi spetta il compito
di scegliere la regia di un programma? |
La prima volta che approdai a Giochi senza
frontiere venni chiamato da Maffucci, all'epoca capo-struttura, e da Luciano
Gigante, presidente del comitato giochi. Nel 1996 invece venni richiamato per
volere di Graziella Reali, produttrice del programma.
| Quante ore durava in
media una registrazione? |
Solitamente
intorno alle 3/4 ore; se si cominciava alle dieci di sera e non vi erano intoppi
si riusciva a finire anche per l'una, ma questo capitava poche volte e comunque
negli ultimi anni. Nei primi anni '90, e quindi quando i giochi venivano fatti
in trasferta, si finiva anche alle sei del mattino. Le
nazioni all'altezza dell'Italia dal punto di vista organizzativo o per i mezzi
erano poche, solo la Francia era pari all'Italia, e questo comportava una
serie di problemi anche tecnici e organizzativi per cui non era possibile fare
tutto in poche ore. Nel mio caso io riprendevo tutto e tenevo le telecamere
perennemente accese, a fine serata mi ritrovano con un sacco di fuori onda e
dietro le quinte che ripulivo poi in fase di montaggio.
| Quali sono i problemi che
si presentano e che si devono affrontare in una puntata in diretta, come
potrebbe essere una puntata della prima serie, e in una puntata registrata?
Quali sono gli aspetti positivi e gli inconvenienti di una puntata diretta
in modo diverso? |
Innanzitutto gli orari della messa in onda
dei paesi in gara, sia per il fuso orario sia per la durata del programma. In
ogni paese vi sono esigenze diverse; nella prima serie i giochi erano in diretta
e non vi erano problemi ma dal 1988 in avanti le esigenze ed i problemi devono
far fronte alla durata del programma, ad esempio in Svizzera una puntata
durava in media 70/80 minuti, in Italia invece si dovevano superare le due ore,
anche per far fronte alla programmazione delle reti concorrenti alla Rai. Da
regista posso dire che una puntata in diretta avrebbe comportato situazioni di
stress, di velocità, senza pause e spazi vuoti, giochi rapidi quanto brevi,
stringati, spesso poco spettacolari.
| Come mai negli ultimi 4
anni, ad esclusione di Trento, si decise di affidare la regia a due
registi? |
Nel 1996 si trattò di una scelta logica;
il lavoro, tra riprese e montaggio, era notevole, per cui 5 puntate vennero
affidate a me ed altrettante a Francesco Vicario, una persona che stimo e che
ritengo un ottimo professionista. Nel 1997 invece si trattò di una scelta
tecnica, poiché io curavo anche i collegamenti in diretta dalle piazze italiane
con Marco Presta e Antonello Dose, per cui facevo la spola tra L'Italia e
Budapest. Serviva una figura stabile che seguisse i lavori a Budapest e la
scelta cadde su Renato Casali, con cui mi alternavo nella regia. Nel
1999 a Le Castella la collaborazione con Franco Bianca non portò buoni frutti
ma per problemi interni al programma, che mancava di originalità con
ripercussioni dal punto di vista qualitativo.
| Lavorando in stretto
contatto con i suoi colleghi, com'era il rapporto con loro? Non vi era
competitività? |
Ho stima dei miei colleghi e li ritengo
degli ottimi professionisti. Vi era competitività ma non vi era invidia.
Vicario ad esempio a Stupinigi era alle sue prime armi e ci teneva a non
sfigurare davanti al pubblico ma anche davanti a me. Complici gli artisti di
strada che aprivano ogni puntata, a Stupinigi si giocava a stupire, a fare
l'ingresso più spettacolare e le riprese più belle. Quindi una simpatica
competitività. E' chiaro che ogni
regista è caratterizzato da qualcosa, e anche con i colleghi che sono
seguiti negli anni ritengo che la regia sia stata coerente e non contrastante.
| Come considera l'edizione
del 1997 con questa nuova idea della diretta dalle piazze italiane? |
Soddisfacente. L'idea era originale e se non
fosse per i presentatori avrebbe riscosso più successo di quanto non abbia
avuto. Venne fatta questa scelta per incrementare la durata del programma che solo
con i giochi di Budapest arrivava si e no ad un'ora. Presta e Dose li
ritengo due ottimi intrattenitori radiofonici che visto il loro successo su
Radiodue Rai con "Il ruggito del coniglio" sono stati premiati in
prima serata, ma in diretta dalle piazze a mio avviso hanno peccato di
presunzione, facendo gli autori di se stessi. Se a loro due si fosse
aggiunta Maria Teresa Ruta con collegamenti reali e non fantomatici, e quindi
con un interazione simultanea tra la piazza ed il campo come ho proposto e come
hanno scelto di fare solo per la finale a Malè, in Val di Sole, l'idea sarebbe
stata vincente.
| C'è stata una puntata particolarmente
difficile, per le condizioni climatiche o per i mezzi, da dirigere? |
Eccome, la prima puntata nel 1998 a Trento.
Solitamente si registrava ogni 4/5 giorni; il primo giorno arrivavano le squadre
che venivano accolte con un bel ricevimento, il secondo giorno era riservato
alle prove, il terzo giorno si registrava la puntata ed il quarto giorno le
squadre ritornavano nei propri paesi e nel campo di gara si provvedeva a
cambiare la scenografia. Per cui i tempi erano ristretti per cui nulla si poteva
rimandare. Ebbene, quel giorno pioveva a dirotto e questo comportò parecchi
problemi, ai mezzi ed alle strutture di ripresa, ad esempio, ma anche nello
svolgimento dei giochi, poiché per non rovinare i costumi originali le prove si
svolsero con costumi occasionali; per di più la luce saltava ogni quarto d'ora.
Il campo di gara era molto piccolo e spesso era necessario l'uso delle gru per
cambiare giochi e scenografia. Tutto questo avvenne sotto una pioggia
torrenziale.
| E la puntata invece che
più di altre l'ha divertita? |
Le puntate che mi divertivano erano tante.
Anche le stesse puntate di Trento erano divertenti: i giochi erano esilaranti,
special modo quelli fissi, contornati dai costumi sfarzosi quanto ridicoli
ideati da Armando Nobili. E poi quell'anno ebbi la fortuna di lavorare con
Mauro Serio, di lavorare nuovamente con Mauro Serio dopo l'esperienza positiva
qualche anno prima a Solletico. Difatti fui io a volere Mauro Serio alla
conduzione del programma. Vi era molta sintonia tra noi, mai uno screzio,
si prendeva tutto a ridere e di conseguenza si lavorava con armonia e con il
sorriso sulle labbra.
| Se le venisse proposto
tornerebbe a dirigere Giochi senza frontiere o lo ritiene un impegno troppo
gravoso? |
Tutt'altro, mi divertivo e mi divertirei
ancora: ciò che faccio adesso è mille volte più faticoso dei giochi. Non
dimentichiamo che oltre ad essere regista sono stato anche autore del programma,
e questo è un programma in cui più di ogni altro contano le idee. Ci si deve
scontrare sulle idee, per i giochi, i temi, i costumi e in questo Armando Nobili
ha molto da insegnare. Insieme abbiamo cercato di insegnare qualcosa anche ai
telespettatori attraverso i giochi, come ad esempio nel 1991, anno in cui
abbiamo imposto per i giochi dei temi di pubblico interesse a tutti i paesi che
li ospitavano, spaziando da Brancaleone alle favole Di La Fontaine e dalle opere
di Moliere alla storia di Madrid. Gli ascolti, difatti, ci hanno premiato.
|