INTERVISTA A FLAVIA FORTUNATO
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L'intervista a...

FLAVIA FORTUNATO

San Felice sul Panaro - Manfredonia, 05/08/2003

Flavia Fortunato, madrina dei "Giochi senza frontiere" più recenti, dal caldo sole di Manfredonia dove si trova per una meritata vacanza, si concede alla nostra intervista telefonica e accetta di rispondere alle nostra domande.  

Dal 1999 i "giochi" non sono più stati trasmessi: cosa ne pensa e che ricordi ha di questo programma?

Era un programma entusiasmante; era normale che le squadre partecipassero per vincere ma tuttavia non c'era competizione tra loro ma solo spirito di squadra. E grazie a loro, cioè alle squadre in gara, si aveva la possibilità di conoscere ed apprezzare paesi e città più o meno noti, più o meno lontani. 

Sapeva che l'anno successivo non sarebbero stati trasmessi?

No, non ne ero a conoscenza.

Secondo lei come mai sono stati aboliti e cosa si potrebbe fare per far si che vengano ritrasmessi?

Mi rendo conto che Giochi senza frontiere sia un programma molto costoso da realizzare: a Le Castella i giochi si disputavano su un campo di gara molto vasto (misurava 10.000 mq, ndr), con una scenografia molto sfarzosa e presumo anche molto costosa. A mio avviso non era necessario fare le cose così in grande: con un tocco di semplicità si potevano ridurre i costi, e per un programma come Giochi senza frontiere non è poco.  

Come venivano effettuate le registrazioni?

In entrambe le edizioni da me presentate, le puntate si registravano tra giugno e luglio: una squadra di dimostratori, formata da ragazzi e ragazze del posto, e quindi non in gara, illustravano ai concorrenti i giochi in cui dovevano cimentarsi il giorno successivo, vale a dire per le prove generali, che a loro volta, solitamente, si disputavano il giorno prima della registrazione della puntata, le cui riprese cominciavano in tarda serata, tra le 21:00 e le 22:00, per finire poi a notte fonda, mai prima delle 04:00. Si lavorava quindi per tre o quattro giorni a settimana: un lavoro a volte duro ma di grande soddisfazione.

Come si è trovata in coppia con Mauro Serio? C'era molta sintonia tra di voi, non è così?

Si, tra noi c'era una sintonia perfetta ma anche un pizzico di complicità. Mauro nasce artisticamente come attore ed io come cantante: ci siamo ritrovati insieme a condurre Giochi senza frontiere. Ma in alcuni momenti durante le registrazioni, come gli intermezzi musicali per la promozione dell'euro, avevamo modo di cantare o recitare, e quindi di sprigionare le nostre reali capacità.

Tra le due edizioni da lei presentate, qual'è quella che ricorda più volentieri?

Senz'altro la trentesima e, purtroppo, ultima edizione, datata 1999: "Giocavo" in casa, presentavo i "giochi" dalla mia regione, di conseguenza ero emozionata e al tempo stesso felice di far conoscere la mia regione. Inoltre respiravo l'aria della mia terra, e quindi della mia infanzia.

Lei è di Cosenza, e quindi ha avuto il piacere di condurre la trentesima edizione dalla sua regione: cosa ha provato?

Una gioia immensa ed un grande orgoglio: Giochi senza frontiere è un programma di notevole promozione turistica, e presentare questo programma dalla mia regione, la Calabria, voleva dire farla conoscere ed apprezzare a tutta l'Europa. E' stata davvero una grande gioia, condivisa con l'allora presidente RAI Saccà, anch'esso calabrese. E poi lavorare nello splendido scenario di Le Castella mi consentiva di poter trascorrere alcuni giorni di vacanza insieme alla mia famiglia, senza rinunciare a questo gratificante ma impegnativo lavoro, conciliando così famiglia, lavoro e vacanze.

Qual'è il ricordo più bello che ha di Giochi Senza Frontiere?

L'entusiasmo delle squadre e la fraternità fra di esse ed il legame con Mauro Serio e gli altri conduttori, tra sintonia e complicità, come detto prima, ma anche il contatto con la natura. A Trento il tempo non giocava a nostro favore, pioveva spesso e più di una puntata l'abbiamo registrata sotto l'acqua. Ma a Le Castella era diverso: il sole era cocente ed in più c'era il mare, che in alcuni giochi faceva anche da protagonista. Ricordo i bei momenti passati sul campo di gara, soprattutto quelli a "porte chiuse", senza pubblico e a telecamere quasi spente. Eravamo in pochi e respiravamo un clima familiare, all'ombra del castello aragonese e dinnanzi, il mare aperto.